lunedì 28 gennaio 2008

Divide et impera

Oggi mi sento qualunquista e pressapochista. Ne deriva una riflessione facilmente etichettabile di tal malfatto. Amen, procediamo comunque.

Alla luce degli avvenimenti dei giorni scorsi e degli ultimi anni, questa mattina mi chiedevo: ma che differenza c'è tra destra e sinistra? Tra Prodi e Berlusconi? Tra Pd e Cdl? Bella domanda, non c'è che dire.

Ora, le risposte plausibili sono molte, tante quante le differenze che indubbiamente sussistono tra i due soggetti in oggetto (bella questa...). Credo che ciò non si possa negare, a patto però di una precisazione: qui si ragiona solo sulla superfice delle cose, dei fatti. Andando più in profondità, paragonando l'essenza delle due fazioni a me pare di cogliere un bagliore. Un nucleo, un cuore pulsante che anima entrambi li schieramenti: Divide et impera.

Da qualche tempo a questa parte è assurto all'onor della cronaca nazionale un acceso dibattito di origine civile, popolana, riassumibile in una parola: casta.
Acceso dalla pubblicazione del libro di Rizzo e Stella, il dibattito - riassumibile nell'accusa fatta dalla società civile alla classe politica italiana rea di essere una vera a propria casta privilegiata che approfittando del suo potere prospera sulle spalle dell'intera nazione a spese di noi poveri cittadini ignoranti - si è incendiato in un attimo e si è allargato a dismisura. L'ultimo a cavalcarne l'onda è il Beppe Grillo contro la casta dei giornalisti.

Senza voler approfondire la questione dei giornali e dell'informazione, proviamo a riflettere sul dibattito riguardo la cosidetta casta politica. I fatti degli ultimi giorni hanno risvegliato nel sottoscritto una profonda rabbia nei confronti dell'intero establishment politico-istituzionale e del Leviatano che ancora lo guida ed influenza. A conti fatti un dato certo balza agli occhi: tutto il caos e la crisi politica degli ultimi giorni non ha nulla a che vedere con noi, con gli italiani. La classe politica parla tra sé e sé, si scanna tra le sue parti, implode al suo interno. A noi non chiede altro che essere spettatori, guardare, ascoltare per poi prendere parte. Ma dall'esterno, guai ad avere pretese di partecipazione diretta. Noi siamo utili solo in un istante dell'intera vita politica del paese: le elezioni. Per tutto il rimanente periodo non contiamo nulla.
E come hanno fatto a renderci così ininfluenti? Qual'è la miglior strategia per ottenere tutto ciò?
Quale miglior mezzo per governare, per soggiogare i propri sudditi? Per usarli e sfruttarli?

Ce l'hanno insegnato i Romani secoli fa: Divide et impera.
Frammenta il popolo. Dagli ragione di schierarsi e dividersi. Crea fazioni e alimenta il dibattito, fomenta lo scontro e li avrai in pugno. Saranno distratti e arrabiati, parteciperanno attivamente alla vita politica, ma in soldoni non saranno affatto importanti, nè decisivi. Solo a questo punto potrai fare quello che vuoi, prosperare, arricchirti.
Ecco casa fa la Casta: divide et impera.

Discontinuità? Vi pare davvero che ci sia una tale differenza nelle politiche intraprese dai più disparati e diversi (in teoria) governi in questi ultimi anni da poter parlare di discontinuità? E vi pare che la società civile sia mai riuscita a farsi sentire? Ad essere in qualche modo partecipe? A decidero o influenzare l decisioni? Girotondini docet.

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